Levi Edda

Intervista ad Edda Levi di Marica Peron (Lunedì 18/09/1995)

Edda Levi è autrice del libro “Livio Levi Sindaco di cento. (1923-1927). Una famiglia ebreo-cattolica tra cronaca e storia”, di cui si allegano le pagine relative al periodo considerato. 

D. Senti Edda, io ho riletto proprio oggi la prima parte del tuo libro dove parli della tua esperienza all’interno della famiglia, della tua vita. Proprio anche per vedere questo ruolo che ha avuto la tua famiglia con i problemi che ha dovuto affrontare, con un padre di religione ebraica, la mamma invece cattolica, voi figlie allevate secndo i dettami della religione cattolica. Come si inquadrava la vostra famiglia nel periodo che stiamo esaminando, quindi il periodo del fascismo e le tue impressioni personali, quello che tu ricordi…

R. Ma, Marica, fino al ’38 io ho vissuto come una persona qualsiasi, noi abbiamo vissuto come persone qualsiasi. Abbiamo frequentato, a seconda dell’età delle mie sorelle, il Ginnasio Cevolani o le Scuole Comunali, allora si chiamavano così le Elementari o Professionali Taddia.

D. Eravate 5 sorelle vero?

R. Eravamo sei sorelle e Carla è morta che aveva 14 mesi. Quindi noi fino al ’38 abbiamo vissuto come una normale famiglia. Poi, siccome mio padre si era impegnato, come hai detto tu, ad educarci secondo i dettami della religione cattolica, io non ho mai avvertito differenze con i miei compagni. Forse i tempi sono stati diversi. I tempi del nostro battesimo, della nostra cresima o della nostra comunione. Perché? Perché allora vivevano con i miei nonni, che erano ebrei…

D. Anche molto stretti come osservanza…

R. Molto osservanti proprio, ebrei osservanti. Allora il nonno Augusto e la nonna Zelinda seguivano i dettami invece della religione ebraica. Finché mio padre e mia madre hanno abitato a Bologna le cose sono andate in un determinato modo, quando sono entrati nella famiglia dei Levi allora mia madre, giustamente, per me giustamente, ha cercato di fare le cose in modo da non urtare la sensibilità dei suoi suoceri. E quindi così capita che Marianna è stata battezzata quando aveva 5 anni, ola Carmenne aveva 3. Poi quando sono morti i miei nonni e noi ci siamo trasferiti a Villa Carla sono nata io e sono stata battezzata praticamente subito. Ma a me non ha mai pesato, io non ho mai dato importanza al mio cognome. E’ vero che gliene davano altri. Io non sapevo neanche che fosse un cognome ebreo.

D. E invece poi con le leggi razziali era un cognome molto scomodo, diciamo…

R. Era un cognome scomodo. Quando ci siamo trasferiti a Ferrara nel novembre del ’38 da allora ho incominciato a capire che il mio cognome era un cognome che dava nell’occhio, che poteva anche turbare qualcuno. Io ho frequentato la prima, la seconda e la terza Ginnasio qua al Liceo Ariosto e poi come tutti gli altri siamo stati chiamati, come Guido Fink, come Giorgio Bassani che poi facevano già il Liceo, loro erano più grandi, come i Tedeschi, come tanti altri, il Preside ci ha detto che non potevamo più frequentare la scuola. Ecco, questo fatto cosa ha provocato in me, in me solo, perché le altre le scuole le avevano già finite? In un primo momento un senso di sollievo “Finalmente ora sto a casa!”, veramente! Poi dopo mi sono resa conto che era un brutto scherzo. Le altre mie sorelle come l’hanno vissuto? Mia sorella Linda lavorava come archivista all’I.N.P.S. ed è stata lasciata a casa subito.

D. Perché era un ente pubblico e non poteva più tenere ebrei come dipendenti.

R. Mia sorella Bianca era sposata e abitava a Pieve ma non lavorava, mia sorella Anna era sposata ma non lavorava, e mia sorella Carmen aveva già terminato gli studi quindi è rimasta in casa (nell’impossibilità di trovare un lavoro).

D. Quindi la più colpita dal punto di vista dell’istruzione, della possibilità di poter avere un andamento scolastico rettilineo, normale, per la tua età sei stata tu. Ho letto che in classe con te c’era la figlia del prefetto Di Suni…

R. Io avevo la figlia del prefetto Di Suni ela ValeriaBalbo(figlia di Italo) e mi sono reso conto che i trattamenti della professoressa Bagni erano diversi. A loro venivano perdonate tante cose, a me no. Ricordo, ad esempio questi giudizi “Appena sufficiente” mi facevano andare in bestia anche perché io sapevo di essere abbastanza bravina. Non in matematica, non in disegno, ma nelle altre materie sì. Nelle materie letterarie sì. E un’altra cosa che ci tengo a sottolineare è che ho avuto delle amiche molto affettuose nei miei confronti. Hanno continuato a portarmi i compiti, ad aiutarmi, a darmi spiegazioni perché la mia situazione era una situazione molto particolare. Io non ero ebrea e non potevo frequentare la scuola ebraica, però ero ebrea (per lo stato) e non potevo andare a scuola (pubblica). Quindi io mi sono arrangiata per conto mio, così con gli aiuti che mi davano le mie amiche, con gli appunti che mi passavano, in questo modo qua. Ed è per questo Marica che mi ha fatto soffrire molto. Io avevo perso l’identità. Io non avevo un’identità mia. Perché se ero ebrea dovevo andare alla scuola degli ebrei, in Vignatagliata come sono andati gli altri, come è andato Gianfranco Rossi e come sono andati gli altri. Se ero cattolica perché non potevo andare a scuola?

D. Sì, la tua era proprio una situazione anomala al di là della anormalità perché già di per se era semplicemente a dir poco infelice…

R. Sì, ti posso dire questo. Ultimamente ho conosciuto un signore che era, è nella mia stessa identica situazione. Lui è del ’22, più anziano di me, è la stessa cosa. Suo padre ebreo, sua madre cattolica, però lui non ha potuto andare alla scuola (ebraica), aveva cominciato ad andare alla scuola ebraica ma Alberto Verdi (Podestà)… quelle cose così… (intende dire che viene allontanato)

D. C’è qualche problema a dirmi il nome di questa persona?

R. Eh!, non lo conosco. Abita qua nella torre. Quando è uscito il mio libro l’ha preso e mi ferma “Senta ma anch’io sono un ebreo”.

D. Un matrimonio misto?

R. Un matrimonio misto e mi ha detto che ha tutta la documentazione.

D. Probabilmente se tu mi sai dire il nome possiamo trovare quache cosa anche in archivio perché come c’è la situazione di tuo padre…

R. E poi queste leggi così contorte, insomma non c’era niente di molto chiaro. Ecco perché io nomino questo dottor Finzi che quando è venuto a Ferrara ha detto che Bottai è stato un uomo molto ignorante (si riallaccia a una discorso fatto prima sull’intitolazione di una strada al ministro fascista Giuseppe Bottai ad pera del sindaco di Roma Rutelli) perché non ha capito niente, cioè non è riuscito a fare una distinzione tra chi era veramente ebreo e chi non lo era.

D. E poi questa razza ebraica non esiste, è un credo. Semmai è una credenza religiosa.

R. E’ una religione. Quindi lui le castronerie le ha veramente fatte.

Poi come donne, come abbiamo reagito noi ragazze! Ma, le mie sorelle maggiori credo che avessero una sacrosanta paura di essere così “oggetto” di persecuzione, anche persecuzione sessuale. Perché? Quando sono venuti la notte del ’43 (14/15 novembre) la paura maggiore di mia madre era questa. C’erano le ragazze maggiori!

D. “Le ragazze sono spaventate!” dici. “Siamo tutte donne!”. “Una ha appena partorito!”

R. Mia sorella Bianca aveva appena partorito, quella che dopo è morta.

D. Chiedeva rispetto…

R. E diceva “…ma che cosa volete, qui noi non abbiamo niente!” e poi quella frase “Sporchi ebrei” che ci sentivamo dire…

D. Anche per strada la sentivate dire, anche in altre occasioni…

R. No, no, per strada no. Io avevo molta paura di repubblichini, perché c’è differenza sai tra fascismo prima della Repubblica di Salò e dopo. Ecco, dopo l’8 di settembre io ho cominciato ad avere paura veramente. Paura, e quando li vedevo quelli della Guardia Nazionale io tagliavo l’angolo.

D. Tra l’altro hai avuto quell’esperienza…

R. Della notte del ’43. E’ stata proprio una brutta esperienza. Cioè sono quelle esperienze Marica che ti rimangono dentro e ti rendi conto che c’è tanta cattiveria. Che andare a spaventare delle bambine, delle donne che sono inermi di fronte agli altri che avevano i fucili e tutte queste cose. E poi questo modo “Non accendete la luce” e queste lampade negli occhi. Io ho provato veramente terrore.

D. Sì, io riesco benissimo a capire tua madre di fronte a questo pericolo, doveva salvare le proprie figliole anche da una aggressione sessuale perché loro erano in un certo numero e voi indifese… a letto… oltretutto!

R. Noi non c’eravamo neanche mosse perché loro han detto “Non vi muovete!” e noi non ci siamo mosse. E la paura di mamma era quella, che potesse capitare ualcosa alle sua ragazze più grandi. Non è successo per fortuna.

D. Forse quella notte avevano troppa fretta di racimolare gente, che poi dopo c’è stato l’eccidio del castello.

R. Ecco, forse sì, era una visita così, una visita breve, un intervento breve. Però, ecco, da quel momento la nostra vita è cambiata veramente perché noi avevamo paura anche di uscire, paura anche a vedere certe facce. Quando andavo alla Cassa di Risparmio a fare qualche cosa, mi mandavano per qualche operazione, questo cognome me lo facevano ripetere due o tre volte e poi c’era sempre un sorrisino come a dire “Questa è diversa dagli altri!”, quello che credo provino adesso gli emigrati, il diverso, indipendentemente dal fatto della religione.

D. Poi il giorno successivo al 15 novembre tu hai avuto la brutta avventura di vedere il corpo del ferroviere Belletti…

R. Sì, perché mia madre mi ha detto “Vai a prendere il giornale!”. C’era un giornalaio allora all’angolo, dopo la farmacia Fides. “Vai a prendere il giornale e cerca di sentire qualche cosa!”, ma c’erano tutte le saracinesche abbassate, per la strada non c’era quasi nessuno (corso Giovecca). Poi, improvvisamente, non so perché ho pensato “Ma no è troppo lontano e poi come fatto a tornare in Giovecca”, noi abitavamo al 167 “Io adesso taglio per via Boldini” e mi sono imbattuta nel corpo del giovane che non aveva niente a che fare (con l’omicidio Ghisellini). Non ho capito più niente. “Ma cosa fa questo poveretto!”. Tagliando per via Palestro sono corsa a casa e dopo là abbiamo saputo tutto. Come abbiamo saputo tutto il resto, che poi avevano preso tutti, mica solo gli ebrei, antifascisti, misti, quello che era capitato. E quel muretto al castello, ancora oggi quando passo davanti a quel muretto non è che lo guardi molto volentieri. Mi piace il castello, mi piace molto però vedo quei corpi là abbandonati da tutti e disprezzati…

D. Sì, infatti li hanno lasciati lì almeno per tutta la mattinata proprio per dare il segnale “Attenzione ci siamo noi…”.

R. Doveva essere d’esempio…

D. Sì, sì, c’era il detto ferrarizzare l’Italia. Quindi prendere esempio da quanto era successo a Ferrara…

R. Ed ammazzare uno … adesso li arrangiamo noi!

D. D. E poi le cose, storicamente, sembra che siano andate un po’ diversamente.

R. Sì, qualcuno ha dimostrato…ci sono molte teorie ancora su quel punto lì…

D. Sì, è ancora molto dibattuto…

R. E’ molto dibattuto.

D. Voi come famiglia tra l’altro – voi vi siete salvati, avete avuto un destino diverso -, però la vostra famiglia è stata colpita in Maria Zamorani.

R. La pediatra. Era nascosta nell’ospedale e una spiata fece sì che venisse presa e non sappiamo dov’è…

D. Che figura tra l’altro tra coloro che sono nella lapide di via Mazzini, ad Auschwitz sembra…

R. Ecco, tu prova a pensare questo: una donna intelligente, una pediatra a quel tempo!

D. Una delle prime probabilmente…

R. Bisogna però trasportarla a quel tempo lì!

D. Certo!

R. E poi, e poi mia sorella Bianca! (intendendo una delle vittime del clima di violenza dell’epoca).

D. Sì, sì possiamo considerarla anche lei proprio una vittima…

R. Perché mia sorella Bianca è morta di stenti. Una broncopolmonite, oggi, per esempio, è una cosa da niente, allora era una cosa importante. Poi la broncopolmonite divenne un empiema polmonare. Io ricordo che mia sorella Bianca al posto del polmone aveva una caverna piena di pus e il dott. Sandri che era qui all’arcispedale S. Anna venne da noi quasi tutti i giorni però diceva “Io non so che cosa fare!”, “Non c’è niente!”, “Noi non abbiamo niente!”.

D. La penicillina era già conosciuta e bisognava andarla a prendere in Svizzera…

R. No, o andarla a prendere in Svizzera e qualcuno l’ha fatto, oppure dovevi andare dagli alleati. Loro l’avevano…

D. Solo che gli alleati non erano ancora arrivati a Ferrara perché poi tua sorella muore il 23 d’aprile…

R. Mia sorella muore il 24 di aprile e gli alleati entrano in Ferrara il 25… E c’è quell’episodio che per me è stato un altro trauma, quando il dott. Sandri mi ha affidato questa ricetta “Proviamo -mi ha detto- se troviamo qualche cosa, vai alla farmacia di via Palestro”. Quella farmacia che c’è in fondo prima di arrivare in P.zza Ariostea, sulla destra. E allora io sono andata, mandavano sempre me perché potevo passare un po’ inosservata, non lo so, e mi ricordo che arrivavano delle granate, allora io facevo tutto il percorso a zig-zag e saltavo per non essere colpita. Poi volto per via Palestro, arrivo in fondo e la farmacia era chiusa. Io busso un volta, due volte, tre volte finalmente si affaccia uno che non so se fosse il farmacista che mi chiede “Che cosa vuoi?”, “Ma avrei una ricetta!”, “Non abbiamo niente!” e ha chiuso le imposte. Io mi sono proprio sentita morire perché mi chiedevo “Ma almeno scendi, vieni a vedere che cos’ho io su questa ricetta!”. No, niente! E allora in quel momento ce l’avevo con il mondo intero, ero arrabbiata, furibonda. E sono tornata a casa e ho detto “Niente” e dopo pochi giorni mia sorella è morta ed è morta consapevole di morire…

D. Infatti ha lanciato un messaggio a te e a tua mamma…

R. Consapevole di morire perché le sue condizioni ormai erano disperate. Pens che in questa caverna c’era pus, c’erano vermi, c’era di tutto. Lei non respirava. E così ha affidato a mia madre e a me perché ero lì in quel momento, i suoi bambini.

D. Tua mamma, a quanto testimoni nel tuo libro, deve essere stata una donna molto coraggiosa…

R. Molto forte e molto coraggiosa, molto forte soprattutto.

D. Questa sua forza le derivava anche dalla sua religione, era un motivo di stimolo per lei ad alzare su le spalle…

R. Sì, perché la fede di mia madre era proprio una fede forte, granitica, senza dubbi, semplice, senza orpelli, semplice ma molto forte. Lei diceva “Il papà non c’è più e forse è una fortuna!” (alludendo forse alle persecuzioni). Ce l’ha detto molte volte. E ci ha anche detto “E’ una fortuna che coi siate donne, da un certo punto di vista, perché almeno non vi prendono, non vi portano via, passate più inosservate…!”.

D. Ma questa era una sua opinione…

R. Perché sappiamo che purtroppo prendevano bambini, neonati, vecchi di ottant’anni…

R. Tutti. Però era una sua opinione. E poi aveva una grande dignità per cui tante volte ci ha detto “Su con quella schiena!”.

D. “Siete delle Levi…”.

R. “Siete delle Levi”. E allora “Non fa niente se non c’è tanto da mangiare … però tu studia perché sai che tuo padre ti ha detto che ti devi laureare e non preoccuparti di altro e poi per il resto non ci necessitano consigli, ci arrangiamo!”, perché anche quello, Marica, noi ci spostiamo a Pieve e il prefetto Di Suni ci ordina di tornare a Ferrara. E così tutti i bombardamenti noi li abbiamo presi. A me pareva una cosa al di fuori di ogni realtà. ma perché io devo rientrare. Però tieni presente una cosa Marica, a noi ad un certo momento era venuta addosso una sorta di fatalismo che non ce ne importava più niente…

D. Ad esempio sotto i bombardamenti continuavate…

R. Pensa la nostra illusione. La casa, una casa normale a due piani, dal piano superiore dov’erano le stanze noi scendevamo a quelle giù. Ma fuori di casa non ci siamo più andate dopo il famoso…quando Pippo si è abbassato e ha falciato tutti.

D. Quando ha falciato tutta quella gente.

R. Quando abbiamo visto così… beh, ma per che cosa…

D. No, no tutt’al più muoriamo insieme…

R. Eh, così stiamo qua e siamo tutti insieme e buona notte.l e poi una sorta di fatalismo. C’erano secondo me delle cose più importanti, come per esempio mangiar. Può sembrare banale, però la sopravvivenza, avere di che mangiare, da toglierci la fame, parliamo di fame non di …

D. Non di appetito…

R. Non di appetito…ripararsi dal freddo, c’era l’acqua gelata, la cucina economica che andava solamente…io mi lavavo pochissimo, lo confesso, proprio lo stretto indispensabile perché chi azzardava a fare un bagno con l’acqua gelata… Mi prendevo un accidente, una broncopolmonite! Cioè questi fattori erano determinanti per la nostra sopravvivenza. E allora che Pippo venisse non me ne importava niente, noi ci piazzavamo del cotone idrofilo e lui faceva quel che voleva. Qualcuno m’ha chiesto “Ma com’è possibile?”, “E’ possibile!”. Per noi è stato possibile. Dopo, se vuoi una nota più serena che non c’è qui (nel libro) è che appena sono entrati gli alleati e la città era proprio ubriaca di felicità, nella scuola Guarini, scuola elementare, c’era un ospedale da campo e una signora che abitava lì vicino “Ma sai che cercano una che sappia l’inglese?”, io ti assicuro che ne sapevo pochissimo, però con il mio vocabolarietto d’inglese sono arrivata là e poi mi sono arrangiata e loro cercavano qualcuno che lavasse la biancheria, ma cose molto semplici. Io gliele ho trovate e loro mi hanno dato una sporta piena di latte in polvere, cioccolata, formaggio…

D. Cose preziose…

R. Io sono tornata a casa, la prima cosa che mi ha detto mia madre “Dove hai preso quella roba, dove hai rubato quella roba?”. “Non l’ho rubata, l’ho guadagnata col mio aiuto. L’ufficiale mi ha detto che posso tornare che me da ancora perché io faccio questo lavoro”.

Presentando il libro all’Istituto Tecnico Industriale Statale, una professoressa era la figlia del medico responsabile di quell’ospedale. Mi è venuta vicino e mi ha detto “Signora Levi, mio padre dirigeva quell’ospedale”. Insomma, in fin dei conti se tu non mangi Marica…Adesso viviamo, anche prima, in un consumismo sfrenato per cui ci pare impossibile, ma non era solo mia, anche di altri.

D. Io so che in alcuni momenti della vostra vita familiare, per la morte di tuo padre e anche più avanti quando avete avuto proprio bisogno di un sostegno, rappresentanti della Chiesa locale vi sono venuti in aiuto, mi riferisco particolarmente a Mons. Ruggero Bovelli che è da tutti riconosciuto come veramente una persona molto aperta, disponibile e che ha veramente aiutato tante famiglie ebree o famiglie in difficoltà. Se mi vuoi raccontare qualcosa…

R. Accanto a noi, nella chiesetta di S. Chiara delle suore, abitava don Luigi Bassi che lavorava in Curia e che ha assistito mio padre nel ultimi momenti e ci è stato sempre molto vicino, sempre. Allora parlò con mons. Bedeschi che era il Vicario…

D. Il Vicario Generale?

R. Il Vicario Generale. Allora mons. Bedeschi fece una proposta a mia madre e le disse “e vuole signora le due piccole le mandiamo nel convento della Santissima Unità a Faenza”. Tu sai che mons. Bovelli e anche mons. Bedeschi provenivano da Faenza. Mia madre disse che ci doveva pensare un momento e poi ne ha parlato con le più grandi, con noi. E ha detto “Io direi di no!, voi cosa dite?” “No!”, perché come hai detto tu prima l’unità della famiglia per noi è stato il perno della sopravvivenza. Noi siamo stati insieme ed eravamo pronti o a patire tutti insieme oppure a stare  bene tutti insieme. Se l’offerta fosse stata di andare tutti, probabilmente mia madre avrebbe accettato, ma così no. E allora andò personalmente, andammo, noi due più piccole e mia madre dal monsignor e lui disse “Posso capire!” e ci regalò due caramelle per uno ed erano buone, erano una cosa da favola. Ma mons. Bovelli credo che abbia aiutato tanti e poi si è messo anche contro il prefetto Di Suni e ha protestato perché ai sacerdoti non era data la possibilità di uscire dopo il coprifuoco quando invece il sacerdote se viene chiamato perché uno sta morendo…

D. Ad amministrare un sacramento…

R. E ne hanno fermati alcuni, li avevano portati in Piangipane e lui ha protestato energicamente. Ne è venuto fuori benissimo come “pastore”, come “uomo”, che tu non l’avresti idea vedendolo, invece poi sapeva come comportarsi. Noi siamo state aiutate. Delle polemiche che si fanno sull’atteggiamento della Chiesa durante il periodo degli ebrei io personalmente non posso dire niente. E’ probabile…

D. Che ci sia stato l’uno e l’altro…

R. Che ci sia stato l’uno e l’altro…perché in Vaticano chi c’era, ecco? E’ probabile che non tutti i sacerdoti siano stati all’altezza di questo compito però non si può neanche dire il contrario, Marica…

D. Si sapeva qui a Ferrara, nel ’43-’44 o si cominciava già ad orecchiare qualcosa sui campi di concentramento o campi di raccolta…

R. Noi personalmente sapevamo del campo di detenzione che c’era a Modena dove c’era mio cognato Franco.

D. A Fossili?

R. Vicino a Modena. Campo di detenzione lo chiamavano. Ela Biancaè andata là e gli ha portato i vestiti da borghese e l’ha salvato. Qui degli ebrei che sono stati portati via lo sapevamo, dove fossero i campi di concentramento non lo sapevamo, no non lo sapevamo. Noi sapevamo che venivano caricati su questi treni, tipo carro bestiame e portati via, ma dove fossero diretti no. Alcuni dicevano che li portavano in Germania nei campi di lavoro, ma non nei campi di concentramento…

D. Sì, era in effetti un modo per sviare…

R. La cosa che mi spaventa di più adesso, è che a forza di cancellare tutte queste cose prima o poi diranno che anche gli ebrei non sono esistiti…

D. I campi di concentramento non sono mai esistiti…

R. I campi di concentramento non ci sono più: Dachau non c’è più, non è mai successo niente, le camere a gas non sono mai esistite e secondo me, tra un po’, diranno “Ma gli ebrei chi sono?”. Io poi Marica faccio sempre una grande distinzione tra gli ebrei e lo stato di Israele, per me sono due cose completamente diverse. Perché tutti mi dicono “Ma Israele sta sbagliando!”, ma quella è un’altra cosa, è lo Stato!.

D. Abbiamo ricordato prima quando ti sei imbattuta in uno dei massacrati del 15 novembre. Quindi questa forte impressione che tu hai avuto. Un altro episodio è quello che tu racconti è quello che ti è successo a S. Giorgio di Piano…

R. Sì, a S. Giorgio di Piano. Durante quel breve periodo di sfollamento a Pieve di Cento mia sorella (Bianca) ha incominciato a stare poco bene allora è stata trasportata all’ospedale di S. Giorgio di Piano. Mia madre le ha fatto assistenza per tanti giorni, poi non ce l’ha fatta più. Allora a turno, in bicicletta, andavamo, partivamo alla mattina e tornavamo alla sera del giorno dopo, al pomeriggio del giorno dopo perché stavamo un po’ con lei. Io te l’ho detto era in condizioni pietose proprio. Lì hanno fatto quello che hanno potuto però non è che allora nei nostri ospedali allora ci fossero state…(tante possibilità di cura). E una mattina in bicicletta sono stata fermata proprio nella piazza di S. Giorgio di Piano e un milite…

D. Della Guardia Nazionale Repubblicana…

R. Della Guardia Nazionale mi ha fermato e insieme a me altri. Ci ha fermato, un gruppo, eravamo un gruppetto. Ha fermato me e anche altri e ha detto “Adesso voi entrate qui in caserma perché noi vi dobbiamo controllare!”. Io non avevo niente, non avevo con me neanche la carta d’identità, ero piccola, avevo 13-14 anni. E mi ha detto “Tu come ti chiami?”, “Edda Levi!”, “Edda Levi?”, “Sì!”, “Adesso tu ti metti in quella stanza e aspetti lì! La tua bicicletta la requisiamo noi!”. Ma io pensavo, ti metto in quella stanza, stai lì per un po’ finché non abbiamo assodato tutto, invece mi hanno tenuto per molte ore lì dentro, per molte ore. Al che io ho incominciato ad aver fame e ho incominciato a urlare, ma volevo chiedere qualcosa da mangiare, ma ho urlato si vede talmente forte che ha aperto la porta e ha detto “Ma cosa urli?”, “Ma io ho fame!”, “Hai fame?”, “Sì, ho fame!”, “Beh, aspetta!” e mi ha chiuso di nuovo la porta. Dopo un po’ ho ricominciato bussare e a urlare, bussare e urlare con tutta la forza che avevo in corpo perché volevo uscire da lì. Quello a un dato momento si vede che si è scocciato, più che altro, mi ha aperto la porta e mi ha detto “Se hai fame non me ne importa niente di te la tiene, però sparisci di qua!”, ho detto “Sì, però voglio la mia bicicletta!”, “La tua bicicletta?”, “Sì!”, perché ormai sarei tornata a casa anche perché era inverno e erano le 3-4 del pomeriggio di novembre, il buio. “Io devo tornare a casa, io a piedi non ci vado!”. Allora lui si è commosso, si vede, e mi ha dato la bicicletta. E mi ricordo che pedalavo e piangevo e poi dalla paura perché era buio urlavo anche perché mi aiutava, non so, a percorrere quei 10-12-15 chilometriche c’erano e sono arrivata a casa stravolta. Io non ce la facevo più…

D. Quasi è stato più forte l’istinto della fame che della paura…

R. Sì, avevo fame…

D. L’elemento fame ti accompagna in tutto il periodo.

R. Veramente io non lo so se qualcuno può rendersene conto. Io ero in fin dei conti partita presto, con un po’ di caffè di orzo e di latte e basta. Alle 4 del pomeriggio io non ce la facevo più! Quindi c’è sempre un elemento che sembra stupido ma non lo è. Ecco anche quando ti ho detto prima che di Pippo poi non mi importava niente. Una cosa che mi è capitata dopo, io andavo qui sulla strada,la Rossonia, perché c’era un certo Ivo che aveva della frutta. Allora io partivo in bicicletta, con le mie sporte andavo lì e cercavo di commuoverlo dicendo che avevo fame e che però non avevo molti soldi. Allora lui mi guardava, c’è ancora sai Ivo, sono andata a trovarlo, mi guardava e diceva “Beh, va beh ti do un po’ di pesche!”, “Sì, ma io non ho soldi”, “Va beh, portatele via lo stesso!” e io tornavo a casa. E poi sono andata e gli ho dato il mio libro e gli ho detto “Sai chi sono io? Sono quella ragazzina che veniva qua –adesso avrà 84-85 anni- a chiedere la frutta!”.

D. Se ne è ricordato?

R. Sì. Insomma sono quelle cose che ti rimangono dentro e ti fanno dire che in fin dei conti lui non era mica tenuto a darmi le sue pesche o a darmi quello che aveva…

D. L’ha fatto per generosità d’animo, perché era impietosito…

R. Ma sì, perché insomma secondo me si vedeva che noi avevamo fame. Si vedeva nel senso che era troppo poco (?): tessere annonarie, quel poco di pane che sapeva di tutto tranne che di pane e mia sorella che andava continuamente in coda per prendere delle frattaglie, degli avanzi. Io ritengo di aver mangiato il gatto.

D. Ah sì sì, ma ti è andata anche bene…

R. Tutti forse noi abbiamo mangiato anche il gatto…e delle gran polpette…

D. Dicono infatti che dei gatti in giro non se ne trovavano proprio più…

D. Ecco, il fatto delle polpette. Sembra che tua madre avesse la capacità di moltiplicarle…

R. Sì, perché a quel po’ di carne macinata aggiungeva delle patate…

D. Avevate l’orticello di guerra…

R. Sì, avevamo l’orticello di guerra, avevamo patate, un po’ di verdura e una coppia di conigli che avevamo figliato e ne avevano fatti tanti. Allora in queste polpette la carne era pochissima però diventavano moltissime, sapevano di verdure, di patate, ma non certo di polpette. Così come quel formaggio Italia…

D. Formaggio autarchico?

R. Sì, chissà con che cosa era fatto…

D. Dopo il 25 aprile – voi eravate stati colpiti dalla tragedia della morte di Bianca – come è stato riprendere la vita con gli scarsi mezzi che avevate…

R. E’ stato molto duro! Abbiamo continuato a vivere un po’, un bel po’, in maniera stentata perché alla fine del ’45 si è sposata mia sorella Linda e io ricordo il suo matrimonio nella chiesa di S. Gregorio e poi sono venuti a casa e così, c’era qualche dolcino ma niente di particolare. E poi questo riprendere la scuola, questo andare a dare gli esami di maturità come privatista mi è costato moltissimo perché io ero convinta che nonostante quel che avevo tentato di fare la mia preparazione era quella che era.

D. Certo non avevi dei professori che ti potessero seguire…

R. Ecco, uno mi ha aiutato ed è il professor Berselli (Aldo) perché abitava qui e allora mi ha aiutata un pochino in filosofia. Poi io me lo sono ritrovato davanti come commissario di storia e filosofia e, come succede a tutte le ragazzine di quell’età, mi ero innamorata di lui, è una cosa normale. E ricordo che la prima domanda che mi ha fatto è stata “Che cosa significa democrazia?”

D. Mica una domanda da poco…

R. Io l’ho guardato e gli ho detto “Professore posso dirlo dal punto di vista etimologico, cioè dal greco demos Kratos, ma che cosa sia la democrazia io non lo so!”. Allora lui mi ha guardato, mi ha sorriso “Lo sa benissimo che non lo sai!”, poi storia, mi è andato bene. Come tema di italiano ho scelto l’argomento di storia ed era su Mazzini, Mazzini come antesignano del risorgimento e l’ho fatto abbastanza bene. Sono riuscita a fare le versioni dal latino all’italiano e dall’italiano al latino e anche quella di greco. Gli scritti erano andati bene. Ho dato l’esame delle materie letterarie l’8 di luglio in una Ferrara calda fino all’inverosimile e mi ricordo che percorrendo Corso Giovecca lasciavo l’impronta delle scarpe sull’asfalto e dicevo “Se muoio mi ritrovano!”, in realtà con la preoccupazione di quest’esame io mi sentivo morire. E poi il 26 luglio ho dato le materie scientifiche e ho fatto molto bene tutto tranne matematica, e mi ha salvato il presidente della commissione perché alla 9 di sera io ero ancora lì, era proprio un esame serio. Mi hanno rispolverata, mi hanno rivoltata…

D. Quello che sapevi l’hai dovuto tirar fuori…

R. Sì, sì, io ho dovuto incominciare dal programma di prima…però ce l’ho fatta. Poi l’Università è stata molto dura perché…

D. Tu hai frequentato a Bologna…

R. La facoltà di Lettere e Filosofia a Bologna, è stata dura perché non avevo molti soldi e perché andavo vestita come una poveraccia e a quell’età incominci ad avvertirla (la differenza). Andavo con i calzettoni di filo che mia madre aveva fatto con le coperte che noi mettevamo sui letti e che ho ancora, ne ho ancora due… Quindi prova ad immaginare, 18-19 anni a portare i calzettoni, non mi andava. Ma poi per fortuna mi sono laureata e sono stata fortunata perché ho incominciato a lavorare subito e dopo le cose un po’ alla volta si sono messe a posto.

D. Possiamo riprendere l’argomento leggi razziali…

R. Le leggi razziali secondo me sono state la cosa più ingiusta che ha fatto il regime fascista perché ha colpito in maniera determinante le persone: non si poteva possedere più di tanto, non si poteva frequentare la scuola e i docenti universitari e professori e chirurghi degli ospedali sono stati mandati via, allontanati anche in maniera infame quando erano persone correttissime…

D. E con una grande preparazione professionale…

R. Ecco, e con una preparazione professionale. Io non sono di quelli che sostengono che gli ebrei sono particolarmente intelligenti, però viva dio, se noi pensiamo ad alcune persone ti viene spontaneo dire “Erano belle intelligenze!”. E non credo neanche, Marica, che sia stato voluto molto dal duce questa cosa. Io penso che sia stato Hitler soprattutto…

D. Quasi ad imporle?

R. Ecco! Allora il duce, per seguire (l’esempio)… Non so ma mi sembra impossibile che Italo Balbo non fosse antisemita, si dice (che non lo fosse). Però Italo Balbo, attraverso Alberto Verdi, attraverso Max Magnani ecc. ha fatto un bel ripulisti degli ebrei. E poi ci sono anche delle incongruenze perché Renzo Ravenna che era Podestà di Ferrara…

D. Ecco, non a caso per esempio Renzo Ravenna da le dimissioni nel marzo del ’38 quando c’era già in Italia questa forte spinta antirazziale. Lui le giustifica con motivi di salute e perché già, dal ’26 mi pare o dal ’28 era podestà quindi era troppo stanco e cose del genere… però niente mi toglie dall’idea che invece sia stato proprio questa politica che già dava i suoi frutti…

R. Sì, perché come tu hai detto, dopo il ’38, dopo le leggi razziali, le cose erano molto cambiate. E poi Marica tieni presente che ci sono stati gli ebrei ricchi che hanno avuto la possibilità di andare in Svizzera, in America, dappertutto e gli ebrei che non avevano la possibilità sono rimasti qua…

D. Comunque c’è stato anche una sottovalutazione, secondo me, del pericolo che si correva.

R. Ma certo, ma sai perché Marica…gli ebrei, prima di considerarsi ebrei, si consideravano italiani e c’era il famoso discorso “Ma come! Io ho fatto una guerra mondiale, io ho difeso l’Italia, io ho dato i miei figli all’Italia e adesso perché mi prendono tutto?”.

D. Oltretutto sono iscritto al partito fascista…

R. Se hanno peccato, secondo me hanno peccao di ingenuità o di troppa fiducia.

D. Incredulità proprio…

R. Ecco, incredulità…ma perché…

D. Non pareva possibile anche se già si vedevano molti ebrei degli stati occupati da Hitler, dalla Germania che passavano in Itali per cercare di salvarsi. Qualcosa di quello che succedeva là si sapeva…

R. Qualcosa si sapeva ma quelli erano gli ebrei degli stati di Hitler, non erano italiani. Ecco, forse è questo. E un’altra ???? che mi da un fastidio enorme Marica è quando parlano di “olocausto”. Perché “olocausto” è un’offerta sacrificale. Nessuno degli ebrei si è sacrificato sull’altare…quello è stato uno sterminio, è un genocidio…

D. Sembra che si siano offerti spontaneamente sull’altare…

R. Ma nessuno l’ha fatto. Allora questo è uno sterminio, è un genocidio così come quello che sta succedendo adesso nell’ex Jugoslavia, tale quale eh! Così come succede a tutte le etnie che non vengono sopportate, che non vengono accettate.

D. Sì, questi fenomeni sono sempre più preoccupanti perché non sono più fatti isolati che ti fanno pensare a qualche mente così, inconsulta, capace di controllarsi, diventano sempre più diffusi e sempre più frequenti.

R?? Per tornare alla contemporaneità si potrebbe accennare a questo fatto, per me piuttosto sbalorditivo e che mi lascia molto schoccata di questa proposta di intitolare una strada di Roma a Giuseppe Bottai che è stato un ministro del governo fascista, n ministro importante, alla istruzine pubblica, alla cultura.

D/R. All’educazione nazionale…

D/R. Sicuramente un uomo di cultura però che ha fatto di tutto proprio per allontanare con la promulgazione della legge che vietava agli insegnanti di religione ebraica di continuare ad insegnare e agli studenti di frequentare le scuole pubbliche, continuare il loro iter normale di attività professionale e di studi, quella legge porta la sua firma. Quindi tanti professori universitari, dei licei, di tutti gli ordini e gradi della scuola vengono allontanati…

D/R. Ma anche i magistrati…

D/R. Ma erano in tutti i settori per cui hanno fatto un repulisti totale e una domanda che m’hanno fatto dei ragazzi quando ho presentato il libro è stata questa”Signora, lei cosa prova quando assiste a quello che sta succedendo: nazischin…?”, io ho detto “Una gran paura!”, “Perché signora?”, “Perchè è proprio nel momento di grossa confusione quando non si sa più che tipo di democrazia abbiamo, che cosa stanno facendo gli altri, che cosa vogliono fare, che salta fuori l’uomo forte. E un’altra domanda che mi hanno fatto è questa “Ma perché signora lei non considera un periodo di dittatura i cinquant’anni che noi abbiamo avuto?” “Cosa diresti se in questo momento uscisse una legge che stabilisce che tutti quelli che hanno un cognome che incomincia per N o i capelli rossi, non possono più mangiare (?) o cosa diresti se, come succedeva nel periodo fascista, le insegnanti donne erano pagate meno degli uomini oppure che i libri erano un libro, non un pluralismo, perché in questi anni noi abbiamo avuto un pluralismo a scuola. Un professore la pensava in un determinato modo, l’altro che la pensava in un altro, però se voi siete educati ad un senso critico potete scegliere, ma noi non potevamo mica scegliere prechè noi eravamo dei poveretti. E i libri erano solo dei libri fascisti. La storia era quella vista da quell’ottica, non era la storia”. A parte il fatto che sono convinta che la storia non serva a niente, non serve a niente perché noi ripetiamo sempre gli stessi errori.

D. Comunque il giudizio che davi tu è suffragato da un’altra intervista che ho fatto ad Anna Rossi. Nel corso dell’intervista lei più volte , evidentemente è una cosa che sente molto e di cui è profondamente convinta, è questa frase, lei dice che le dittature oltre che crudeli sono anche stupide e si riferiva proprio al fatto delle leggi razziali che hanno allontanato dal mondo della cultura, dal vivere sociale, dalla professione appunto tante menti, alcune sono riuscite ad andare all’estero e continuare la loro attività, comunque è proprio un impoverimento della cultura nazionale.

R. Ma se vanno all’estero a fare i ricercatori e tutte queste belle cose perrdiamo noi.

D. Certo perdiamo noi come italiani … per questo lei diceva che è proprio stupida la cosa di promulgare una legge del genere perché mettevi in condizione o di scappare all’estero se ne avevi le possibilità, se venivi accolto da un’Università famosa o questa gente veramente si trovava senza poter più esercitare la propria professione e quindi ne conseguiva un impoverimento generale della nostra civiltà italiana. E questo lei lo sottolineava più volte e mi fa piacere che anche tu l’abbia focalizzato.

R. Io non lo so Marica, io posso anche pensare, perché adesso sono usciti tanti libri che stanno dibattendo questo problema e me li sono letti, e anche a proposito della strada di Bottai qualcuno ha detto che poi in fin dei conti non turba mica nessuno, per un motivo molto semplice: che nessuno sa chi è! Allora siamo proprio nell’ignoranza! …

D. Tutt’al più varrebbe la pena di intitolarla a tutti quei professori universitari, di cui tra l’altro il Manifesto ha pubblicato l’elenco…

R. E poi un’altra cosa che ti volevo dire è che la professoressa Laura Balbo, che non ha niente a che fare…insegnante di sociologia, ha fatto un percorso proprio antisemita e antirazziale molto interessante e ho visto un video realizzato in America della terza generazione degli ebrei e la terza generazione dei tedeschi, cioè dai nipoti delle vittime e dei carnefici. Io so l’inglese, ma mica tanto sai, era in inglese, però dagli sguardi, in un primo momento un silenzio assoluto, nessuno parlava, non si guardavano neanche in faccia e poi un po’ per volta hanno incominciato a parlarsi e hanno ammesso quasi tutti che avevano trascorso un lunghissimo periodo in analisi. Da una parte e dall’altra. Quindi tu puoi ben pensare che cosa è stata questa tragedia. Un trauma. Sì i nipoti, la terza generazione delle vittime e dei carnefici. E’ stato proprio uno scossone enorme, interiore da una parte e dall’altra.

D. Dovrebbero essere ormai più distaccati…

R. Ma sai, sono anch’io del parere che uno deve perdonare, non si può mica andare avanti sempre dicendo quelli mi hanno fatto, quegli altri mi hanno fatt. però quello che dicevano i ragazzi “Sì, si può anche perdonare però dimenticare no!” perché se dimentichi chiudi un capitolo della tua storia, della nostra storia. E come noi non chiudiamo nessun capitolo della nostra storia di italiani, di 2 mila anni, non capisco perché dobbiamo chiudere quella. E questo credo di averlo ripetuto dappertutto. Non possiamo dimenticare!.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...