Finzi Laura

21/10/1996

Intervista a Laura Finzi

Marica Peron 

“A mio padre Attila Finzi, ebreo, scrittore, iscritto alla SIAE sezione drammatica, fu impedito di svolgere il proprio lavoro, continuare a pubblicare libri e rappresentare in teatro i suoi lavori drammatici e quindi di provvedere con esso al sostentamento delle famiglia, me compresa, che avevo solamente 11 anni. Nel ’36, il poema drammatico “Ugo e Parisina”, opera di mio padre, stava per essere rappresentato al teatro Verdi e improvvisamente fu boicottato in quanto opera di un ebreo e quindi sono stati distrutti tutti…

D. Già nel ’36 questo…

“Nel ’36 quando ancora non c’erano le leggi razziali. Io ho cercato uno degli attori e l’ho trovato, Vecchiolino, e gli ho detto “Lei mi deve spiegare perché io ero piccolina”, “Io ero l’attor giovane, ci hanno distrutto tutte le copie manoscritte delle parti degli attori e tutti i costumi di scena e quindi mio padre dopo 10 giorni è morto. Ho capito sin da allora che era successo qualcosa. L’ho appurato 50 anni dopo andando a cercare sul Corriere Padano, sfogliando tutte le pagine, mio papà è morto il 10, cos’era successo nel luglio di quell’anno, nel luglio di quell’anno, in due righe in fondo alla pagina, c’era scritto “L’opera del concittadino Attila Finzi che doveva essere rappresentata è stata rimandata a data da destinarsi a causa del maltempo”. E avevano distrutto tutto. Dopo ho capito che mio padre era morto di crepacuore. Rimasta orfana di babbo il 10 agosto del ’37, all’età di 11 anni, perdetti in seguito all’entrata in vigore delle leggi razziali l’appoggio morale e materiale di tutti i suoi 11 fratelli essendo anch’essi perseguitati in quanto ebrei. In parte fuggirono con le rispettive famiglie all’estero, alcuni furono arrestati, altri dovettero nascondersi, me compresa, in luoghi religiosi o presso generose famiglie private.

D. Lei dove è stata nascosta?

R. Io sono scappata, però a scuola sono potuta andare, ma prima all’inizio, la preside un giorno….

D. La preside….

R. Erala MinghiniMayer, la scuola era l’Istituto Carducci, io ero già alle Inferiori, corrispondevano poi alle Medie allora ecco, forse ero in terza e nel salone dove ascoltavamo la radio, mi ricordo che c’era una lezione su Tito Livio, mi è venuta vicino e mi ha detto “Tu seila Finzi?”, “Sì”, “Passa in Presidenza”. Allora quando si passava in Presidenza era sempre una cosa così, di punizioni, roba così, io però in coscienza non avevo fatto niente e sono andata e m’ha detto “Guarda che tu (non mi ha detto, poveretta, gli ebrei o non gli ebrei) devi portare documenti di battesimo, cresima e comunione tuoi, della tua mamma, dei suoi genitori e dei suoi nonni. Queste erano le leggi hitleriane esportate in Italia, perché mio padre era già morto, lui era ebreo, la parte di mia mamma era cattolica però si doveva vedere se c’erano degli ebrei fino alla quarta generazione.

D. Comunque lei è sempre stata educata nel cattolicesimo.

R. Io sono stata battezzata in Maternità quando sono nata. Infatti al battesimo io non porto il cognome Finzi, mia mamma e mio papà non erano sposati e al momento del riconoscimento c’era solo mia mamma, mi ha riconosciuto lei e mi ha dato il suo nome e quindi mi chiamo Brunelli Laura e sono battezzata, poi quando sono uscita mio padre mi ha legittimato e ho trovato i documenti nell’Archivio Notarile, il documento di  legittima. Però ho continuato a vivere con la mamma dopo, lui stava nella sua famigli però veniva sempre da noi, non erano sposati. A 13 anni, nell’anno scolastico ’39-40 aseguito di precise disposizioni di legge furono presi provvedimenti per il mio allontanamento dall’Istituto Magistrale inferiore (ripete la vicenda dei battesimi).

Di conseguenza nel ’40, a 14 anni d’età, cominciai a professare la religione cristiana “obtorto collo” in un certo senso, per poter evitare sanzioni tali da compromettere studi e avvenire perché io a quell’epoca non avevo ancora fatto cresima e comunione perché mia madre aveva piacere che avessi seguito la religione di mio padre, ma ormai ero battezzata e avrei dovuto fare l’abiura da adulta. Si era chiesto allo a così nel testo mio padre “Lasciamola scegliere lei quando avrà l’età”.

Nel ’43, durante l’estate, presentai istanza al Comune di Ferrara tendente ad essere assunta come impiegata avventizia, tutti andavano a compilare schede annonarie, statistica. Le mie amiche hanno ricevuto l’invito a presentarsi, io no, allora ero convinta che fosse andata perduta la mia domanda contrariamente a quelle di diverse mie amiche che l’avevano portata contemporaneamente a me. Non fu accolta in quanto a norma del D.L… “Provvedimenti …all’art. 13 lettera C era fatto divieto a tutte le Amministrazioni pubbliche e quindi anche a quelle Comunali di avere alle proprie dipendenze persone appartenenti alla razza ebraica. Perché io sono arrivata là, davanti all’impiegato, mi ha guardato in faccia, è rimasto un po’ male, è corso dietro a parlare col capufficio e poi è tornato “Sai, c’erano solo 2 posti!”.

Quando sono tornata a casa “Mamma non mi hanno presa per il mio nome!”. Ho pianto guardi. Io non avevo il padre, avevo bisogno di lavorare e non ho potuto e questo è stato il primo torto grosso.

Pertanto a causa dell’applicazione delle leggi razziali, guardi che io ero battezzata e mi dovevano prendere, mi fu impedito di portare in famiglia, avevo 17 anni e ero orfana del babbo, il mio piccolo ma indispensabile contributo di lavoro perché premetto che mia mamma era poverissima, era di origine contadina, figlia di braccianti agricoli, aveva perso i genitori, a 5 anni la madre, a 5 e mezzo il padre. A 5 anni e mezzo era stata mandata a chiedere la carità dopo di che è stata sempre a servizio in città e poi ha conosciuto mio papà tanti anni dopo….

Negli ultimi mesi del ’43 che segnarono l’inizio di un aggravamento delle leggi razziali già esistenti, a seguito dell’ordine di polizia n. 5 del 30/11/’43, sono ricerche che ho fatto all’archivio di Roma….

E’ molto ben documentata….

L. Porca miseria, quando ho visto che non mi davano soddisfazione, mia cara adesso gli butto lì della carta (mi sono detta), il quale, oltre al concentramento di tutti gli ebrei prevedeva anche il sequestro in attesa di confisca dei loro beni, nonché per i nati da genitori misti la vigilanza speciale da parte degli organi della polizia, ebbi a subire perquisizioni domiciliari. Ecco, venivo a casa da scuola e mia mamma diceva “Sono venute le SS”. “Cosa hanno fatto?” “Hanno cercato nei cassetti” “E che cosa cercavano mamma?” “Cercavano una pistola perché han detto che da noi, dalle nostre finestre abbiamo sparato sui tedeschi che passavano” “Gli hai mica detto che le nostre finestre guardano in cortile?”

M. Pretestuosa come scusa….

L. Ma loro cercavano, siccome c’era la confisca dei beni, cercavano gioielli, oro, perché gli ebrei passavano per essere ricchi. Primo cercavano questo e non ce n’era, ne oro ne gioielli,così nel testo perché mia mamma era poverissima. Mio papà era già morto e noi vivevamo molto poveramente e poi forse cercavano tracce delle sorelle di mio padre, gli altri no perché erano già tutti scappati. La vede quella foto là, sono 12 i fratelli di mio padre, si erano messi in salvo tutti, cercavano probabilmente traccia se erano nascoste da noi.

M. O se avevate della corrispondenza….

L. No, non avevamo niente, dopo poi le dico come abbiamo fatto a sapere dov’erano (riprende a leggere). Ho chiesto alla Questura di fare delle ricerche, sicuramente c’erano delle liste se la polizia è venuta a casa. Non sono riusciti a trovare niente e questo l’hanno comunicato al Provveditorato che l’ha comunicato al Ministero. Il Ministero ha detto “Allora se non ci sono documenti non è vero che è stata perseguitata”.

M. Ma le hanno bruciato quelle carte, distrutte…

L. Mica tutte perché io in Prefettura le ho trovate, dentro dei sacchi che sono quelli che sono all’Archivio di Stato.

Poi sono andata in Questura a parlare al Vice Questore “Senta capita così e così. Se ho avuto le perquisizioni devo essere iscritta da qualche parte” e allora m’ha detto “Senta Signora, io ho visto che lei è come un topo d’archivio, quei documenti li hanno fatti sparire perché scottavano, quello che si è salvato si può trovare all’Archivio di Stato”, ecco perché poi sono andata all’Archivio di Stato. (Legge)

Dall’esame di quelle carte risulta che nel ’43, precisamente la data del 22/11/1943, in pieno regime delle R.S.I., quando ormai l’Italia era vassalla della Germania e quindi con i tedeschi in armi in casa, risultavo iscritta nell’elenco dei misti considerati appartenenti alla razza ebraica.

M. Ce l’ho anch’io in Archivio.

L. Ha capito, ecco perché venivano a cercarmi in C. Mayer…

M. Era il censimento ebraico.

L. Esatto. Tanto che una delle mie amiche era figlia di un impiegato del Comune e quando sono venuta a sapere dove erano scappate queste mie zie io gliel’ho detto, sa si era bambine, e allora un giorno mi ha detto per la strada “Laura ha detto il babbo che tu non dica a nessuno dove sono le tue zie perché tu sei pedinata. Dopo ho cercato di farglielo ricordare, che mi desse la documentazione scritta di questa frase di suo padre. “Insomma non ricordo di averlo detto!”. L’ha cancellata dalla sua mente. Risultavo appartenere alla razza ebraica con tutti i rischi che comportava in quei giorni. Pertanto, nei giorni di maggior pericolo, quando ormai si era scatenata la caccia all’ebreo specie a Ferrara quando la notte del 15 novembre ’43 fu una notte di sangue di cui ne è triste storica memoria il film “La lunga notte del ‘43”, i miei familiari e io essendo ricercati, fummo costretti a nasconderci. Per interessamento dell’allora Arcivescovo di Ferrara Mons. Bovelli le mie zie paterne Lucia, Norma, Jole, Saffo, queste non erano sposate, stavano a Ferrara, queste non si erano sposate, Lucia e Norma, per assistere questa che era mongoloide, questa invece era sposata e stava a Milano, ma da Milano era scappata ed era venuta a Ferrara. Quest’ultima, col marito Flaminio Viterbo e la cognata Ida Viterbo ed io fummo aiutati e protetti. Le zie e gli altri congiunti poterono trovare rifugio in locali religiosi nel convento delle Orsoline di via Cosmè Tura a Ferrara, mentre io me ne fuggii dalla mia abitazione e riparai con la mamma, sotto falso nome, in una cascina delle campagne ferraresi nel fondo di S. Gaetano a Mirabello dove per vivere dovetti dedicarmi anche al lavoro dei campi. Dall’ultima settimana di novembre all’ultima settimana di dicembre del ’43 le zie e dai primi di gennaio del ’44 alla fine della guerra e oltre fino al 18 settembre del ’45 io. In seguito, quando anche i conventi non furono più nascondigli sicuri, il gruppo delle zie trovò riparo in campagna presso una generosa famiglia, quella di Antonio Pivelli a Finale di Rero. Prima da un sacerdote, poi li cercavano anche nelle chiese, allora lui, questo parroco, li ha mandati in una casa privata. Sono di questo periodo le lettere autografe speditemi sotto falso nome, Laura Brunelli anziché Laura Finzi dalle zie paterne anch’esse sotto falso nome, Maria De Paoli, Massa Finalese Modena oppure Antonio Pivelli Final di Rero Ferrara, anziché Lucia Lomes Finzi. Una disposizione del Ministero dell’Interno dell’ottobre ’44 prevedeva il concentramento in appositi campi non soltanto per gli ebrei puri ma anche di coloro che nati da genitori misti erano stati considerati appartenenti alla razza ebraica. C’era da prendere possesso di un bene patrimoniale che era intestato a tutta la famiglia, cioè alle sorelle di mio padre, a mio padre, ma mio padre era deceduto quindi c’ero io. Le mie zie dicevano “Forse per te salviamo i beni” perché a me cristiana non dovevano prendere niente. Invece hanno fatto passare me per ebrea e hanno preso tutto. Nel ’44 quindi, sempre a causa delle Leggi Razziali, non mi fu possibile presentare domanda di incarico come maestra elementare, intanto mi ero diplomata. Soltanto a guerra finita ho incominciato a insegnare come supplente ma avevo già perso due anni. Nel frattempo c’erano ancora le leggi razziali. Il R.D.L. 10/12/’38 vietava agli ebrei di possedere terreni, fabbricati e loro pertinenze. La circolare del Ministero della Giustizia 18/7/’38 vietava agli ebrei di vendere i propri beni, il D.M. 39/126 creò l’EGELI l’ente di gestione e liquidazione dei beni degli ebrei. Essendo considerata appartenente alla razza ebrea ebbi a subire in forza di quest’ultimo decreto legge la confisca a favore dello stato dei beni e cioè di un fabbricato che io avevo in comproprietà con le mie zie Lucia, Norma, Jole, Saffo Finzi. Avevo vissuto fino allora in povere soffitte e non ho potuto godere un cavolo di niente. Poi il palazzo è stato bombardato disgraziatamente. Avremmo poi potuto riaverlo indietro, così non avemmo niente (come risulta dal decreto di confisca che sono riuscita ad ottenere, n. 285, alla Conservatoria del Registro emesso dalla Prefettura di Ferrara). Il 28/5/1956 l’Egeli chiese il pagamento a zia Lucia, quale prima comproprietaria, di 23.000 £ per la gestione dei beni di famiglia.

(Poi Laura passa a parlare di un episodio scolastico) Io le dico solo che una mia compagna di scuola, tanto eravamo imbevuti allora di queste cose tremende, un mattino a scuola disse “Gli ebrei sono tutti traditori della patria!”. Lei l’ha mai vista la sottoscritta con una molla sotto il sedere? Beh io sono schizzata per aria e le ho detto “Dillo un’altra volta!”. Mio papà, erano in 12 fratelli, i maschi erano 8, hanno fatto tutti la guerra del 15-18, 1 o 2 avevano fatto la guerra di Libia, uno è partito volontario e un altro era direttore dell’agenzia di stampa Stefani, 2 erano medici all’ospedale militare.

Come tutti gli ebrei adulti della mia famiglia furono esclusi dal lavoro. Tutti i componenti della mia numerosa famiglia dovettero nascondersi chi all’estero chi in Italia.

M. Avete avuto qualche morto in famiglia?

L. Mio cugino, ma non cugino di primo grado, io non l’ho mai conosciuto e una zia lo nominava appunto, Angelo Finzi, era a Venezia, è stato partigiano. Dovevano riunirsi in un certo posto, lui non è stato avvisato in tempo e l’hanno beccato ed è stato fucilato. Fuggirono all’estero: prof. Finzi, chirurgo primario all’ospedale civile di Alessandria, libero docente all’Università di Genova, sospeso dal servizio e dall’insegnamento, rifugiato a San Salvador con la moglie Gina Pirani, il figlio…………………….Finzi di 19 anni, iscritto all’Università. Lisa e il marito………………ing. ………………………..Finzi, la moglie Tedeschi e la figlia Enrica a S. Paolo del Brasile, arc. Faust Finzi, vedovo, con la figlia Gina Finzi……………a S. Paolo del Brasile. Maestro Adelmo Finzi a S. Paolo del Brasile, Umberto Finzi ………………, Aroldo Finzi, questo nono aveva avuto figli e non ha voluto andar via, evidentemente, con la moglie Momigliani.

Per espressa volontà di mio padre lui (Aroldo) era il mio tutore. Aveva dovuto prendersi cura di me appena undicenne. Pur di rimanere in Italia ne ebbe devastata lo studio legale e l’abitazione, fu arrestato e incarcerato a Torino per 6 o 7 mesi (queste sono le sue lettere dal carcere, sono riuscita a trovarle). Questi documenti qua li ho trovati a casa dell’ultima moglie e siccome adesso lei è molto vecchia e ha in casa della gentaglia (non la frequento più). Comunque anni prima io ho sempre frequentato la casa. Lui non ha voluto restar solo, ha perso la prima moglie nel campo di internamento (in Svizzera),la NinaModigliano,così nel testo poi è tornato solo, senza soldi, senza la casa, senza il lavoro, ha dovuto rimboccarsi le maniche perché non era più un ragazzino e ha dovuto ricominciare da capo e poi una volta m’ha detto, io andavo a trovarlo a Torino, la prima volta avevo 19 o 20 anni “Adesso appena riesco ad avere tanti milioni vado in Svizzera e prendo la salma della Nina e la porto nel cimitero ebraico di Torino”.

Rimasero in Italia e dovettero nascondersi il dott. Roberto Finzi medico chirurgo titolare della condotta di Massa Finalese (Modena), sospeso dal servizio con la moglie Maria De Paoli, questa era cristiana, i figli Ettore, Eleonora e Dario. Ettore è sempre stato a Ferrara, se l’è cavata perché pare che non fosse iscritto alla Comunità, per un errore.

Però loro, i figli erano ebrei perché quando loro (i genitori) si sono sposati non c’era ancora il Concordato; lui ha potuto fargli professare la sua religione, non c’era l’obbligo di fargli professare la religione cristiana. Alla fine poi è morta nel ’48 una zia; io tornavo dalla prima supplenza, ero stata in campagna e una zia stava male, c’era il dottore, lei aveva sempre avuto il desiderio del matrimonio religioso, aveva solo il civile, allora lui non l’aveva mai fatto per paura di perdere la sua religione, allora è andato dal parroco, me l’ha raccontato lui, del Duomo perché abitavano in centro “Guardi, mia moglie sta per morire e io vorrei accontentarla e fare il matrimonio religioso, però io sono ebreo e vorrei rimanere ebreo”.

Non era proprio praticante però voleva rimanere nella sua religione. “Lei stia tranquillo” e ciò è stato fatto. E lei ha avuto il matrimonio religioso e in tutte le date della sua morte io ero l’unica nipote cattolica e andavamo alla messa in Duomo “Perché alla Nina fa piacere”. Da allora, che era giornalista in Roma, si era nascosto in tanti conventi che allora ce n’erano tanti a Roma. Dario invece no, ufficiale dell’aeronautica, era fidanzato ed era a Pisa ed era ingegnere, insegnava meccanica o aeronautica ed è stato lui che ha scoperto che c’era la famiglia nelle liste perché a Pisa….

Io abitavo in via Carlo Mayr, vicino a via S. Pietro. Infilo via S. Pietro all’incrocio dove c’è la farmacia S. Pietro e vedo una zia che spunta dall’altro capo. Perciò innocentemente le vado incontro e le faccio un sorriso. Eravamo a metà strada e c’era un negozio di giornali allora arrivate a quel punto stavo per rivolgerle la parola. Lei mi ha dato uno spintone facendo finta di inciampare e mi ha detto “Orsoline, tira dritto!”. Allora io ho mangiato la foglia e ho tirato dritto. Lei temeva che io fossi pedinata perché loro non abitavano nella zona di S. Pietro, sperava di non essere riconosciuta perché loro abitavano in via Garibaldi e quindi c’era venuta con una certa tranquillità, ma temeva che io fossi pedinata. Dopo io sono andata dalle Orsoline e dico alla suora “Io vorrei vedere le signore Finzi”. La suora va a chiedere alle zie e le dicono sì è nostra nipote e mi hanno fatto passare. Questo ordine che era stato dato alla suora portinaia era tassativo e severo, dato dall’Arcivescovo Bovelli. Devo dire che c’erano queste persone persino alla fine della guerra, dopo tanti anni sono andata a intervistare questa suora “Si ricorda….”. Ancora allora! Era vecchia, molto vecchia e questa cosa si vede che l’aveva sconvolta “Non si può dire!”, “No, adesso lo si può dire tranquillamente!”. Io volevo farmi raccontare qualcosa, ma non è uscito da quella bocca niente. In quel momento erano nascoste lì e mi hanno voluto dare i documenti della proprietà del palazzo, uno scatolone di carte più un documento della proprietà di un palazzo dell’architetto Faust Finzi, un fratello, che lo aveva a Venezia e che una zia glielo gestiva qui. Io sono partita con i ritratti dei miei nonni, siamo tornate da là a casa nostra come due facchini, con mia mamma con la roba sulla testa per portare in salvo le carte che loro avevano paura di perdere. Come erano riuscite loro ad andare dalle Orsoline? Qualcuno e non ho mai saputo che le (hanno) manca nel testo avvertite un giorno che stavano per essere deportate. Allora mia zia Norma, quella che si muoveva di più, è andata dal parroco della chiesa…

M. Voi quindi siete state aiutate dalla chiesa…

L. Dal parroco della chiesa di via Aldighieri, c’era la parrocchia e gli ha spiegato che lui è andato dal Vescovo e il Vescovo le ha nascoste.

M. E’ bellissimo questo documento…

L. E’ sì questa dichiarazione me la son fatta dare per dimostrare a Roma che io ero stata perseguitata. Perché poi io non sono andata dalle Orsoline? Ho scoperto che lì a pensione c’erano delle professoresse della mia scuola, avrebbero potuto riconoscermi. E poi quando sono sfollata, sotto il nome di Laura Brunelli nel fondo S. Gaetano a Mirabello (legge una lettera della zia) “Mia carissima Laura, l’ora tragica che volge ci impedisce persino di vederti e abbracciare come vorremmo ma ti abbiamo sempre presente con tutti i nostri voti migliori per l’esito felice dei tuoi studi e per la tua felicità a venire. Non sappiamo cosa ci riserverà il destino e se sopravviveremo a tanti colpi ma per la nostra vita passata senza macchia e solo operando il bene preghiamo il Dio che ci protegga. Inviamo lire 600 delle quali 300 sono quelle che dovremmo darti al 31 dicembre (questa Lucia che scrive gestiva i beni di famiglia di cui anch’io ero comproprietaria, ma io in quel periodo non ho visto una lira tranne queste 600 lire, per anni non ho più visto una lira quindi mia mamma si è data da fare, ha lavorato in campagna quando siamo sfollate, io sono andata a diradare le bietole, le cipolle, ho dato lezioni ai bambini, mi pagavano con un pugnetto di strutto, così, ci si arrangiava, mi sono persino fatta le scarpe allora, che non avevo i soldi), il resto è in sospeso perché tu possa affrontare con il denaro che hai di tuo (non avevo neanche una lira) le spese impreviste di scuola. Auguriamoci che la bufera passi e tutto possa rimettersi come prima, ma intanto ti avverto che abbiamo telefonato all’avv. Franceschini di Ferrara (che è il padre dell’attuale avv. Franceschini, di Giorgio) che era compagno di studi di mio zio l’avv. Aroldo al quale aveva detto “Guarda che ho una nipote che mi è stata affidata da suo padre, mio fratello, però io sto a Torino lei sta lì con la madre, qualsiasi cosa abbia bisogno verrà da te poi tu mi comunicherai” perché ti assista nel caso facessero qualche provvedimento per confiscare la proprietà della quale tu sei proprietaria per un quarto (non c’è stato niente da fare). I documenti di battesimo furono fatti e presentati a suo tempo al Ministero ma fai benissimo a procurartene altri da avere appresso (perché quando ho visto che venivano sempre le perquisizioni esibivo le copie e mi tenevo i documenti pronti, poi portavo un cordoncino, non avevo la catenina d’oro, con una crocetta.

Ricomincia a parlare dei parenti. “Aroldo riesce dopo il carcere a sfuggire nella vicina Svizzera. La sorella della moglie di Aroldo, morta in campo di internamento in Svizzera, Iolanda Momigliano con il marito colonnello Segre Ugo e il figlio di 20 anni Segre Tullio vengono arrestati al confine e portati in un campo di concentramento tedesco dove i genitori gasati e il figlio fucilato. A Roma, una cugina, Eleonora Finzi, vive in un convento. Nel modenese viene arrestato un altro zio, Umberto Finzi, medico chirurgo. E’ stato arrestato ma nel paese dove lui aveva fatto il medico per 50 anni le donne del paese, le donne, non gli uomini, sono andate al comando tedesco, hanno fatto una gazzarra tale, hanno voluto fuori il loro dottore perché hanno detto “Lui non ha mai fatto male a nessuno. Ci ha sempre salvato e guarito, ha fatto sempre il suo dovere, ha la moglie che è cattolica. Voi ce lo dovete dare fuori!”. E’ stato dentro quattro giorni. Non solo, ma a guerra finita (questo me l’ha raccontato lui mio zio che era una sagoma, simpaticissimo) quando ormai i tedeschi erano braccati loro, un tedesco è corso a cercarlo, gli si è parato davanti a mani in alto e gli ha detto “Papà!” (io t’ho fatto uscire fuori dal carcere, adesso sono io che chiedo aiuto a te). A Ferrara le mie zie Lucia, Norma, Jone e Saffo, quest’ultima col marito, riescono a sfuggire alla deportazione rifugiandosi nel convento delle Orsoline, via Cosmè Tura e la casa viene svaligiata. Abbiamo trovato tutti i libri per la strada, le porte del palazzo portate via e tagliate a pezzi come legna da ardere. Mio cugino è andato a pensione una di quelle notti lì “Ragiunier a iò truvà un poc ad legna da brusar stasira acsica a sa scalden se dio vol. A iò cumprà na sacheta ad legna!”. Mio cugino si è messo le mani nei capelli: erano le porte del palazzo del 1500, tutte sagomate, filettate in oro, smanarate e tagliate a pezzi, che lui aveva messo in salvo dopo un bombardamento in un magazzino e le hanno trovate.

A Ferrara io stessa mi nascondo sotto falso nome in una cascina delle campagne ferraresi dove per vivere devo dedicarmi al lavoro nei campi. Diploma a 18 anni nel ’44, non posso a causa delle leggi razziali iniziare la mia carriera di maestra.

Nota personale

Mio padre e mia madre non erano sposati e allora era un delitto. Troppo divario era tra loro per nascita, cultura e religione senza contare il temperamento “suis generis” di mio padre peraltro buono, onesto e giusto oltre ogni dire nonostante il barbarico nome di Attila. Ciò non ha loro impedito di volersi bene fino alla sua morte avvenuta a soli 56 anni agli inizi della campagna antisemita. Conoscendone la sensibilità, posso affermare senza tema di errore che proprio le disposizioni razziali, immorali e antigiuridiche, venute a troncare la sua attività di scrittore teatrale nonché drammatico, non furono certo estranee alla sua immatura morte. Mia madre, di origini modestissime, non ha voluto trarre da questo legame con un uomo di condizioni agiate il benché minimo interesse. Mio padre contribuiva al mio sostentamento, lei ha sempre voluto mantenersi con il suo lavoro e io sono vissuta con lei nelle soffitte di povere casa d’affitto. Mia mamma non voleva una lira da mio papà “La salute ce l’ho, io vado a servizio e basta!”. Mio padre morendo, avevo 11 anni, mi raccomandò per testamento ad uno dei suoi 11 fratelli, l’avv. Aroldo Finzi di Torino, tutti mi conobbero (precisiamo: io non conoscevo i miei parenti fino alla morte di mio padre perché, dato il divario fra mia mamma e mio papà, mio papà non ha voluto imporre mia mamma alla famiglia, peraltro lo sapevano tutti lo stesso però mia mamma non ha mai fatto la prepotente, non ha voluto andare a casa, portarmi a casa. Sa che cosa ha fatto? Quando io avevo due anni, probabilmente lei era in contatto con una delle donne di servizio della casa e mia nonna era ancora vivente e lei chi sa, si vede che con la donna di servizio hanno parlato di me, di questa bambina e che lei avesse detto “Mi piacerebbe di vederla!” e la donna “Vol la che ag gla faga vedar? Ag pen mi!”. Il palazzo era un palazzo del 5-600 pieno di entrate segrete, di scalettine, di scale a chiocciola. Si è messa d’accordo con mia mamma e dentro per la strada privata mia mamma mi ci ha portato. Io mi ricordo ancora, avevo 2 anni, in braccio alla donna di servizio su per una scalettina a chiocciola. Io non ero una bambina piagnucolona quindi sono andata tranquilla, mi ha portato attraverso dei corridoi in una camerona dove seduta su un letto c’era una vecchietta con i capelli bianchi e uno scialle sulle spalle e lei ha detto “Signora Antonietta, ecco la bambina di Attila!” e allora mia nonna mi ha dato 2 biscotti lunghi così, erano gli osvego, uno in una mano l’altro nell’altra, io ero bella soddisfatta, mi sono guardata mia nonna, lei mi ha fatto una carezza e poi la donna mi ha portato via. Una delle sorelle non era favorevole a quest’unione, a questo buon rapporto di mio padre con una donna inferiore. Siccome era quella che comandava in casa, io non sono mai entrata. Alla morte di mio padre, io venivo a pattinare qui con mio padre, dietro le mura, dove c’è quel prato verde dietro la mutua, c’era una pista di pattinaggio per bambini e mio papà veniva a pattinare lì con me. Ci davamo appuntamento io e una mia amichetta che era la figlia del suo sarto. Il 10 agosto vado ad aspettarlo lì, arriva mia mamma come un fulmine, a piedi, era una formidabile camminatrice “Vieni a casa che il babbo è morto!”. Come l’aveva saputo, l’aveva saputo perché nella casa in cui abitavamo noi, in via della Paglia, ci stava un dipendente della ditta di Dolcini, quello della ditta di pompe funebri e ha detto “Ho portato una bara in via Garibaldi, casa Finzi, è morto un uomo” e lui era l’unico uomo. Allora mia mamma mi ha preso e mi ha portato a palazzo e lì ha detto alla portinai “Pina, la consegni alla famiglia!”,la Pinacon me per mano, tutti sapevano la storia che aveva una bambina, ha suonato alla porta e c’erano già quasi tutti i fratelli pronti per il funerale, stavano venendo da tutta Italia. Mi ricordo che incontro mi è venuto uno zio e mi ha detto “Ma questa chi è?” ela Beppinafa “E’ la figlia di suo fratello!” e allora io sono entrata in famiglia. Ma i fratelli non gravavano su questa sorella che era un po’ il carabiniere, quella che gestiva tutto, la sorella maggiore, non era sposata, era una specie di “azdora” delle campagne ferraresi, la “reggitrice”, di quelle che fan tutto loro. Io sono andata al funerale, unica, tutti i fratelli c’erano, i nipoti e le cognate, era estate, tutti al mare o in montagna. Tutti i fratelli meno 1 che era in America (io non l’ho mai conosciuto, l’ho visto solo in fotografia) e siamo andati tutti al funerale. Poi uno che camminava col bastone perché aveva avuto un incidente, è tornato indietro in carrozza e allora m’han fatto salire sulla carrozza con lui e lui m’ha detto “E io chi sono?”, mi ricordo ora, l’ho guardato e ho detto “Lo zio Aroldo!”, “No, io sono Faust!”, si somigliavano tutti, come facevo, la avevo appena conosciuti. Dopo mi volevano un bene, guardi. Quando arrivava mio zio da Roma, l’ingegnere, era quello che veniva più spesso, mi prendeva per il naso e mi diceva “Marchio di fabbrica” perché il naso di mio padre… (riprende a parlare della vicenda della confisca del palazzo)

Non ebbi mai la ventura di abitarvi in quanto gli enormi e pregevoli saloni non erano fatti per ospitare una piccola e modesta famiglia e ad impedirmi di goderne i frutti ci pensarono per l’appunto le leggi razziali con il divieto per gli ebrei di possedere, il divieto di vendere, la confisca e la dispersione forzata di tutta la numerosa famiglia nonché l’offesa degli sciacalli che approfittando del fatto che si trattava di proprietà ebraica fecero man bassa di tutto. Io son piombata là dopo il bombardamento e ho scoperto che il palazzo era stato colpito. La gente era attaccata con le scale e portavano via le lastre di vetro delle finestre, i pavimenti, gli scalini di marmo, tutto e allora ho detto “Che cosa state facendo!” “Beh, non è mina ad nessun, l’è roba ad gli ebrei”. Io sono stata zitta perché mi son detta qui mi arriva una martellata in testa, avevo 15-16 anni. Mia madre continuò a lavorare modestamente tutta la vita e entrambe e entrambe negli anni della tragedia non esitammo a rimboccarci le maniche per lavorare, anche la terra. La prima casa civile la ebbi a 24 anni quando come dipendente dello stato ottenni l’assegnazione di un alloggio Ina-Casa, al piano di sopra di questo, poi sono dovuta scendere perché mancava l’ascensore per mia mamma che era vecchia. Con questa breve nota ho voluto dare un quadro esatto di quelle che sono state realmente le mie vicende. Ho avuto un’infanzia non certo di delizie. Nel dopoguerra ho iniziato la mia carriera e ho lavorato duramente anche in condizioni proibitive sin da rimetterci la salute. Ora sono costretta a lasciare l’insegnamento perché la precarietà della salute e della perdita della voce non mi consentono più di svolgere il mio lavoro di maestra. Devo per forza chiedere il collocamento a riposo, ma non possono pensare soltanto a me stessa. Ho a carico mia madre che ha la bella età di 92 anni e tutto il diritto di trascorrere serenamente almeno i suoi ultimi anni. Potrò ottenere il riconoscimento della qualifica di perseguitata razziale che mi consenta di ritirarmi con una pensione che non sia da fame? Spero di sì e scusandomi per lo sfogo ringrazio per l’attenzione e porgo deferenti ossequi”.

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