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Vi segnaliamo le seguenti iniziative a cura di G.P.Marchetti che si terranno nell’ambito dell’esposizione:
– domenica 8 aprile, ore 10,30 – Conferenza “Battaglia di Solferino”;
– domenica 15 aprile, ore 10,30 – Conferenza “Vittorio Veneto”.

 

Achille Beltrame: un pittore al servizio dell’attualità (scheda a cura di E. Ferraresi)

 Achille Beltrame nacque nel 1871 ad Arzignano in provincia di Vicenza. Nella sua città natale iniziò lo studio del disegno che proseguì all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano con l’insegnamento di Giuseppe Bertini, allievo ed erede alla direzione di Francesco Hayez. Le sue indiscusse doti pittoriche, la cui cifra è evidente anche nella futura opera di illustratore, gli valsero, quando era ancora studente, il premio Mylius del 1890 e in seguito la partecipazione alle prime edizioni della Triennale di Brera (1891 e 1894), a collettive della Società per le Belle Arti e all’Esposizione Permanente di Milano, nonché l’acquisizione di sue opere da parte della Galleria d’Arte Moderna e del Museo di Milano ed ancora dell’Accademia di Brera. Dipinse scene di vita quotidiana ed episodi storici legati alla sua città di adozione, inoltre, fu abile ritrattista, sperimentò la pittura murale ed anche di carattere religioso. Non abbandonò mai l’esercizio della pittura e soltanto nel 1941 ebbe la sua prima personale alla Galleria Ranzini di Milano, ma il suo nome e il suo riconoscimento furono certamente legati alla sua straordinaria attività di illustratore, iniziata, per altro, quasi per caso. Era il 1896, quando, recatosi nel Montenegro per ritrarre la futura regina d’Italia, Elena di Savoia, si trovò poi a raffigurare i caratteristici paesaggi e costumi del luogo e venne notato dal direttore e inviato dell’Illustrazione Italiana, Edoardo Ximenes, che gli commissionò qualche tavola per il suo giornale, dando inizio ad una collaborazione che durò fino al 1898. Nel 1899, chiamato dal coetaneo Luigi Albertini, allora direttore amministrativo del Corriere della Sera, cominciò a illustrare a colori la prima e l’ultima di copertina della nascente Domenica del Corriere. Il giovane e allora sconosciuto Beltrame contribuì significativamente alla stessa definizione dell’identità del settimanale e ne divenne ben presto figura di spicco, accompagnando per più di quarant’anni la sua pubblicazione con quasi 5.000 tavole. L’ultima copertina di Beltrame è datata 26 novembre 1944 poco prima della sua morte avvenuta a Milano il 19 febbraio 1945.

Il supplemento domenicale, rivolto a tutta la popolazione, doveva scandire i fatti della settimana e nella copertina aveva l’evento più significativo, ma ciò che rese diverso l’inserto fu proprio la qualità superiore dell’illustrazione con cui si presentava. Le copertine di Beltrame, furono veri e propri quadri, perfettamente disegnati, secondo la tradizione ottocentesca, e arricchiti dal colore e dal movimento; esse descrivevano i fatti di cronaca di risonanza internazionale così come quelli locali con una puntualità spettacolare e una chiarezza che rendevano superflue le parole.

Le sue illustrazioni non poterono non testimoniare perciò anche quello che stava accadendo a livello mondiale nel 1914; la prima tavola disegnata da Beltrame relativa alla Grande guerra,  uscì il 1° novembre di quell’anno ed aveva sicuramente i toni crudi di una realtà che riguardava un conflitto sanguinoso, ma resi con uno stile sempre equilibrato e un registro non alto. Le copertine della Domenica del Corriere, non potevano non descrivere il clima di dibattito tra neutralisti e interventisti e non poteva non divenire, altresì, lo strumento di sostegno, anche se non esplicitamente, all’entrata in guerra dell’Italia o quanto meno strumento di aiuto all’accettazione di una decisione immutabile, che non ammetteva adesioni parziali. Le tavole che l’illustratore dedicò all’intervento della nazione nel conflitto, avevano, infatti, i toni di un racconto dettagliato e sicuramente veritiero, ma certamente filtrato dalla volontà di rendere più accettabile un fatto ormai ineluttabile e incontestabile. Le copertine che da quel “radioso maggio”, come fu definito dalla retorica interventista, raccontarono il conflitto, lo descrissero con sorprendente dovizia di particolari, soprattutto se si pensa che Beltrame non si mosse mai da Milano e che i luoghi, le persone, i costumi e le dinamiche erano frutto della descrizione di altri cronisti e di un repertorio di immagini da lui sapientemente raccolto e archiviato nel suo studio di corso Garibaldi e rielaborate attraverso la sua vivace immaginazione. Fu come se le pietraie del Carso, le cime e i picchi delle Alpi dove avvenivano gli scontri, li avessero visti direttamente i suoi occhi e i suoi stessi occhi li avessero poi purgati degli aspetti più cruenti e inaccettabili, pur non tradendone la verità. Beltrame dipinse “graficamente” tutti i particolari e gli aspetti della guerra, esaltandone soprattutto la coralità, quasi mai rappresentando il singolo combattente, ma sempre la massa che fosse di fanti, alpini o bersaglieri. Attraverso le sue illustrazioni, ovvero la potenza, la semplicità e il carattere quasi consolatorio dell’immagine, come sapientemente rilevato da Dino Buzzati, fu  capace di raggiungere l’intera popolazione, anche quella che non ancora alfabetizzata, non sarebbe mai stata raggiunta dalle parole.

II sezione: il 1917: Le tavole del 1917, l’anno di Caporetto e della battaglia di arresto, mantengono la modalità di un racconto visivo finalizzato a promuovere nell’opinione pubblica un messaggio di rassicurazione rispetto agli sviluppi della guerra e alle azioni dell’esercito italiano. La rappresentazione di Beltrame è fatta, citando Gianni Oliva, di una “miscela accorta di affermazioni e di silenzi, di accenti e di sfumature, di realtà per metà raccontate e per metà taciute”. L’illustratore della “Domenica del Corriere” sa che i suoi disegni, per essere persuasivi e attinenti alla realtà, devono sì presentare il dolore e la distruzione della guerra, ma egli lo fa sapientemente, veicolando tali aspetti attraverso l’astrazione della guerra stessa; i suoi disegni rappresentano si la morte, ma senza sangue ne mutilazioni e principalmente non quella dei propri soldati, piuttosto del nemico seppur con il rispetto e la pietas;  le sue tavole colgono paesaggi privi di antropizzazione se riguardano il fronte italiano perché è necessariorio essere realistici, ma con la mediazione del distacco dal quotidiano e soprattutto la centralità della scena è sempre la dinamica dell’offensiv. In questo momento l’autore “si ferma un attimo prima che la realtà prenda il sopravvento”, non omette, ma indirizza lo sguarzo verso gli aspetti del conflitto meno dolorosi per gli “spettatori”; è ancora lontano il tempo della rappresentazione della vittoria tricolore e della costruzione del mito della Grande Guerra, è solo il tempo di rendere un poco più accettabile la tragedia di un anno bellico particolarmente difficile.

III ed ultima sezione: il 1918, l’anno della Vittoria: Il 4 novembre 1918, all’indomani dell’armistizio di Villa Giusti, il generale Armando Diaz, comandante supremo del Regio Esercito, annunciava ufficialmente con il Bollettino della Vittoria, la resa dell’Impero austro-ungarico e la vittoria dell’Italia nel primo conflitto mondiale. Sin dai mesi di settembre ed ottobre, la vittoria era nell’aria e le tavole di Beltrame nella Domenica del Corriere, oltre ai titoli dello stesso Corriere della sera, scandivano l’avanzare dell’offensiva italiana e l’inesorabile collasso dell’esercito austro-ungarico, riempendosi di tricolori. Nelle illustrazioni del 1918, dopo i tragici e dolorosi tempi dell’annata di Caporetto, riecheggia l’energia positiva e  patriottica delle “radiose giornate di maggio” del 1915. All’indomani di Vittorio Veneto si tratta di costruire una nuova e più specifica memoria della vittoria e Beltrame, forte di un abilità ormai comprovata, ancora una vota riesce a veicolare il messaggio “distogliendo” l’attenzione, almeno per ora, dalla riflessione su quella che verrà definita da molti, attraverso le parole dannunziane, una “vittoria mutilata”. La vittoria italiana non si può certo considerare una vittoria completa, e non solo per gli insuccessi nelle trattative di pace, da cui la definizione “vittoria mutilata” trae origine, ma soprattutto per i circa 590mila civili morti, i 651mila militari morti, il milione di invalidi e mutilati, di cui molti giovanissimi, per non parlare della situazione socio-economica che il conflitto si lascia alle spalle, preludio fertile per l’insinuarsi di un ideologia che da li a poco riporterà il paese, anche internamente e tra la sua stessa gente, in guerra. In questo momento, però, le riflessioni sono ancora lontane e per Beltrame è solo il tempo della celebrazione dei combattenti e della sublimazione del sacrificio di troppe vite. E’ il tempo, in modo particolare, di costruire il mito della Vittoria così come la vediamo nella copertina del numero 45 (10-17 novembre 1918), rappresentata da una giovane popolana che non ha certamente la “lascivia” della Libertà guida il popolo di Eugene Delacroix, ma che tanto la richiama, nella fierezza e nel vigore che ha nel brandire il grande tricolore italiano a cui ne fa eco un altro più piccolo nella città ai suoi piedi, o ancora, raffigurata con le sembianze di angelo, possente e scolpito nella pietra, portato in trionfo dal glorioso Esercito italiano nella copertina n.46 (17-24 novembre 2018).

Beltrame continuerà a fermare con la sua matita, come fossero scatti fotografici, tutti i momenti più significativi del post Vittorio Veneto, accompagnando lo sguardo dei suoi lettori, al di là delle ideologie e sempre con un approccio immediato ed “intuitivo” alla realtà. Smetterà solo alla fine del secondo conflitto mondiale e con la sua stessa morte.

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